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giovedì 29 agosto 2013

Leggibilissimo, anche in treno...


I FRATELLI KARAMAZOV
di Fedor Dostoevskij

 
I punti di forza di Dostoevskij sono soprattutto quattro: lo stile perfetto, la profonda capacità di analisi, i personaggi e la trama.

Qui, in più, abbiamo una delle più sublimi e originali interpretazioni del Diavolo della produzione letteraria mondiale, espressione (secondaria, forse, ma così bella!) del dramma spirituale che pervade l'opera, e che ne è il paradigma, discendente dalla contrapposizione tra morale e libero arbitrio, fede e ragione.

Il romanzo è dunque sorretto da un impianto “filosofico” solido e particolarissimo che ne e la summa e il significato ultimo, fortemente religioso e profondamente umano ad un tempo.

Il pretesto narrativo è dato dall'omicidio di Fedor Karamazov, il terribile capofamiglia, che coinvolge tutti i membri della stessa e vede come primo indiziato il figlio maggiore, Mjtia... ma sarà davvero lui il colpevole? Ed è poi così essenziale scoprirlo?

La vicenda viene ricostruita nel dettaglio e trasuda turbolenta passione quanto riflessioni speculative. I tre fratelli (che in realtà sarebbero quattro) e i loro rapporti sono il vero motore dell'azione: stupendamente tratteggiati, completamente diversi, eppure tutti notevoli... Il più importante è Alëša, puro e spirituale, che in più passaggi ricorda il Principe Myskin de “L'idiota” e che costituisce il vero sostegno della famiglia. Ma il mio preferito, nonostante anche l'impetuoso peccatore Mjtia (poi redento) mi entusiasmi, è senz'altro Ivan, tormentato e arguto, intelligente e stimolante, il cui rapporto con Dio (la cui esistenza egli mette in discussione) affascina oltremisura e contribuirà a condurlo alla follia.

I tre giovani sono simboli, dunque, allegoria, esempio: di come affrontare il Supremo, di come vivere... Del Peccatore, dunque (Mjtia, il maggiore), dell'Uomo afflitto dai dubbi (Ivan), dell'Eletto di Dio (Alëša, il minore).

E poi c'è Smerdjakov, l'illegittimo, il tortuoso... E se Mjtia si redime, non a tutti è sempre concesso...

Lo stile è descrittivo, minuzioso, riesce a cogliere le infinite sfumature dell'animo umano nella loro intrinseca complessità, con i meccanismi e i ragionamenti che le muovono e determinano, arrivando persino a rivelare al lettore quelle di cui lo stesso è ignaro portatore. Ci si ritrova, dunque, in questo profondo sentire, ci si riconosce, come individui e come esseri umani, ritrovandosi ad avere maggior coscienza di sé.

A livello di trama, è una sorta di “Delitto e castigo” più “L'idiota”, più avvincente del secondo, più variegato del primo, e più bello di entrambi (anche se quell'attimo di consapevolezza che corre tra Resumichin e Raskolnikov, in “Delitto e castigo”, se non erro alla fine della IV parte, come singolo momento rimane insuperato).

All'inizio può essere un po' difficile da leggere: maestoso, immenso, richiede attenzione, concentrazione, ma quando vi si entra dentro davvero (e non è che occorrano poi troppe pagine) ci si sente risucchiare. La scrittura si fa fluida, scorrevole, con altissimi picchi di bellezza, istanti in cui ci si avvicina all'Assoluto, sentendo la vita pulsare tra le pagine e Dio guardarci negli occhi.

E l'ampollosità di alcune frasi, di certi costrutti, non si nota più, sparisce: il romanzo diviene leggibilissimo, anche in treno, possibilmente in occasione di un viaggio lungo. Perché la vera difficoltà, a questo punto, è riuscire ad interrompersi.

2 commenti:

  1. Non ho letto molti libri ma questo sì! Mi è piaciuto? si. Cosa in particolare? Non lo so ... credo soprattutto il mix di sensazioni che ti rimane una volta finito. Si perché il bello arriva dopo! Una volta terminato ... inconsciamente il cervello inizia ad elaborare tutto quello che ha letto e a restituircelo, lentamente, dentro il corpo, sotto forma di pensieri, emozioni e punti di vista nuovi.

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  2. Davvero un bel commento, grazie, e scusa per il ritardo. Mi hai fatto riflettere su aspetti che non avevo considerato, ma che condivido pienamente!

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