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mercoledì 11 dicembre 2013

A tratti persino scabroso


AGOSTINO
di Alberto Moravia

 
Credo possa essere considerato a pieno titolo un romanzo di formazione, ma senza la magia che di solito caratterizza questo tipo di letture. Al contrario, “Agostino”, brevissimo e incisivo, è quasi crudele, rude, tremendamente realistico, crudo, a tratti persino scabroso.

Non c'è violenza, non c'è malvagità, non fraintendetemi. Anzi, le cose potrebbero andare molto peggio (si veda il personaggio di Saro). Però l'innocenza termina bruscamente, colpo su colpo, e il protagonista perde qualcosa, per sempre. Finisce l'illusione, finisce il disincanto. Senza gradualità.

Proprio per questo la sua storia – in cui, se vogliamo, ad un certo livello, non succede nulla di eclatante, ma che è eclatante lo stesso, proprio perché capita a lui, e a quell'età – risulta commovente e intensa, pungente, persino dolorosa.

Agostino ha solo tredici anni, orfano di padre, è ingenuo, dolce, adora sua madre, con cui ha un legame intimo che se fosse descritto appena meno bene ci farebbe pensare a Norman Bates. Sono in vacanza insieme, al mare. La mamma è ancora giovane e bella e tutto va a meraviglia, almeno fino a che fra loro si frappone Renzo, la cui compagnia la donna sembra gradire. Agostino no, e comincia ad essere lasciato solo. Allora inizia a frequentare un gruppo di coetanei, molto più svegli di lui, più rozzi, meno agiati, che, scopre con amarezza, considerano sua madre “una facile”.

Il rapporto familiare cambia, cambia la visione che il figlio ha di lei, il mondo di Agostino ne esce sconvolto, e lui cercherà di affrontarlo, accettando la nuova consapevolezza acquisita e crescendo, senza, per fortuna, arrivare a scoprire tutto.

Lo stile è ad un tempo lirico e oggettivo, tremendamente efficace, l'approfondimento psicologico magistrale, capace di scandagliare ogni dubbio, ogni shock, dell'animo di Agostino e di rappresentare una solitudine totale e desolante. Sublime.

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