Se ti è piaciuto il mio blog


web

venerdì 26 maggio 2017

Accontentarsi della vendetta

I MAGNIFICI 7
di Antoine Fuqua
(2016)


Remake della pellicola omonima del 1960, corrisponde, in realtà, ad un’esperienza parzialmente diversa, capace di ritagliarsi una personalità indipendente, tanto sotto il profilo emozionale quanto sul piano concettuale.
La trama, nelle sue linee guida, è la stessa, ma in luogo del villaggio dei messicani in miseria abbiamo una cittadina mineraria non priva di risorse, una maggior emancipazione – per fortuna – della figura femminile (praticamente, sia pure con ruoli distinti, una ce n‘è in entrambi i film), più ritmo, dinamismo e spettacolarità, oltre che una corrispondenza sottile, ma imperfetta, fra i protagonisti che sommariamente si traduce in buoni più buoni e un cattivo più cattivo, nonché, in generale,  in una maggiore drammatizzazione.
La scena iniziale, ad esempio, qui fa molto più male, esasperando la nostra rabbia, la nostra sofferenza, favorendo da subito l’immedesimazione. Tanto più che la bella in pericolo (questa volta opportunamente scollacciata), neo vedova di un ragazzo coraggioso e buono, è disposta, come si usa oggi, ad accontentarsi della vendetta, se non può avere la giustizia.
Una prospettiva meno idealistica, dunque, meno ingenua, ma solo a livello superficiale che diviene, alla fin fine, un’indulgenza al manicheismo e in una conseguente riduzione di spessore.
La rappresentazione del concetto di redenzione, ad esempio, e dell’ambivalenza di questi magnifici 7, fondamentali nell’originale, sono meno marcati, se non addirittura azzerati (Chisolm non è un pistolero, ma uno strumento della giustizia)  così come non risalta l’ambivalenza dei sentimenti del villaggio per i suoi novelli eroi. 
Invariate, invece, le battute topiche più importanti e la bella tematica della necessità per le vittime di riscattarsi e reagire.
In quanto al cast, è nel complesso meno carismatico – anche se, in linea di massima,  l’ho apprezzato,  specie alcune varianti –, e tuttavia modernamente (se non forzatamente) multietnico: cominciamo con la solita “nerizzazione” del protagonista con Denzel Washington – peraltro splendido – nel ruolo di Yul Brynner/Chris  (anche se, curiosamente, verrà sempre identificato come yankee e mai come uomo di colore, perché siamo così ipocriti che a noi il politically correct piace anche quando si trasforma in razzismo al contrario), efficace, affascinante, ma lontano dal magnetismo del suo predecessore; mentre Ethan Hawke/Robicheaux fa il sudista tormentato dai fantasmi di chi ha ucciso (in guerra, però, quindi è scusabile, a differenza di Lee/Robert Vaughn dell’originale… con tutto in alcune scelte ricorda invece il personaggio di Harry), Chris Pratt/Faraday che, ricalcando il Vin di Steve McQueen, è l’unico che sostituisce il ruvido cinismo ad una simpatica canaglieria, laddove invece Vincent D’Onofrio nel ruolo che fu di Charles Bronson è quello che ci perde di più, anche se la colpa è soprattutto di quella voce tremenda che gli hanno affibbiato nel doppiaggio italiano (ma come? In Daredevil era così stentorea e bella?). In compenso, come artista del coltello, l’orientale mi è piaciuto più di James Coburn – più spettacolarità, ma anche più sentimento, specie grazie al legame con Robicheaux –, il messicano più di Harry/Brad Dexter (anche se Harry ha un sostrato di complessità in più), e, soprattutto, il giovane pellerossa nichilista immensamente più del giovane Chico. 
Peraltro, tralasciando il parallelismo con l’originale, il film mi è piaciuto molto: mi ha esaltata e commossa, divertita e appassionata e mi sento di consigliarlo con entusiasmo alle nuove come alle vecchie generazioni. La battaglia, in ultimo, è strepitosa!!!
Ci ritroviamo lunedì con  I Magnifici Sette del 1960.

Nessun commento:

Posta un commento